Uiv-Vinitaly e Prometeia: 10 anni fa era quarto. Industria vale 31,3 mld
Milano, 22 mar. (askanews) – L’industria vinicola italiana vale 31,3 miliardi di euro, impegna 530mila aziende con circa 870mila addetti, e con 7,4 miliardi di euro di esportazioni nette nel 2022 si colloca al primo posto per livello del saldo commerciale del made in Italy delle “4A” (abbigliamento, alimentare, arredamento e automazione) che vale ogni anno circa 200 miliardi di euro. Una scalata, quella del prodotto agricolo italiano più richiesto nel mondo, partita dal quarto posto del 2011 sino alla performance di oggi, con il sorpasso su altri comparti icona del lifestyle italiano. E’ quanto emerge dall’analisi illustrata questa mattina a Roma dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly e Prometeia in occasione della conferenza stampa del 55esimo Salone internazionale del vino e dei distillati che si terrà Verona dal 2 al 5 aprile.
“Il contributo del vino non si limita alla filiera agroalimentare ma si allarga al made in Italy nel suo insieme” hanno sottolineato Carlo Flamini di Unione italiana vini (Uiv) e Giuseppe Schirone di Prometeia presentando la ricerca, mentre l’ad di Veronafiere, Maurizio Danese, ha spiegato che “troppo spesso il vino non è considerato dalla comunità economica per la sua reale dimensione”. “Il settore, con le sue imprese, è cresciuto ed ha affinato la propria managerialità fino a diventare un capitale strategico del prodotto Italia” ha proseguito, aggiungendo che “siamo convinti che il vino sia una ricchezza straordinaria per l’Italia e che, come testimoniano i numeri presentati nel rapporto, la strada per l’ulteriore crescita debba necessariamente passare dall’export”.
La ricerca spiega che la filiera “core” del vino (coltivazione-produzione e vendita-distribuzione) vale 26,2 miliardi di euro (16,4 la parte produttiva e 9,8 le vendite al dettaglio-ingrosso), impiega 836mila addetti con un numero di aziende pari a 526mila. La filiera “correlata” (tecnologie e macchinari per vigneto, cantina e controllo qualità/certificazioni) conta circa 1.850 aziende, con 34mila addetti, per un fatturato di 5,1 miliardi di euro. Sommando insieme i canali diretti e indiretti della filiera “core”, in Italia il segmento Horeca-ingrosso-enoteche detiene una quota del 58% sul totale, seguito dal 25% della Gdo e dal 18% delle vendite dirette in cantina. La filiera “correlata” conta sulla parte vigneto con attrezzature per l’impianto, fitofarmaci, fertilizzanti, imprese per la meccanizzazione (10.200 addetti, 2 miliardi di euro); la cantina, composta da aziende produttrici di macchine e attrezzature per la trasformazione, vinificazione, imbottigliamento oltre alle materie prime secche (20mila addetti, 2,9 miliardi di euro); il controllo qualità (3.500 addetti, 150 milioni di euro). In Italia ci sono 29,4 milioni di consumatori di vino (55% della popolazione), di questi il 42% è quotidiano. La crescita media annua dei consumatori fino a 44 anni (il 34% del totale) è diminuita del 2,1% dal 2008 al 2021.
Il rapporto ricorda una volta di più come il tratto caratteristico dell’industria enologica sia il suo livello di internazionalizzazione. Con 7,9 miliardi di euro esportati nel 2022, le vendite estere hanno toccato il massimo storico, generando oltre il 54% del fatturato settoriale e confermando l’industria vinicola nettamente in testa al ranking dell’export dei settori alimentari. Un risultato ottenuto al termine di un decennio in cui, con una crescita cumulata prossima all’80%, il settore è risultato uno dei principali attori dell’accelerazione complessiva dell’export alimentare italiano. Senza il contributo del vino, che ha una propensione all’export doppia rispetto agli altri alimentari e bevande (54,5% vs 27,3%), l’avanzo commerciale dell’alimentare sarebbe inferiore del 64%. Secondo l’analisi dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly e Prometeia, questa naturale vocazione all’export determina anche un ruolo di “apripista” a beneficio degli altri comparti dell’agroalimentare. Si stima infatti che, negli ultimi 15 anni, ad ogni punto in più di crescita delle esportazioni di vino sia associata, due anni dopo, una crescita di 0,8 punti percentuali in media per gli altri prodotti alimentari.
Non mancano i rischi per un comparto che, rispetto all’alimentare nel suo complesso, è più esposto alle oscillazioni cicliche dettate dalla congiuntura e/o da fattori esogeni. In particolare, secondo il rapporto presentato oggi sarà cruciale la capacità di misurarsi con le sfide poste dal cambiamento climatico: per far fronte ai “rischi di transizione” (investimenti necessari per sostenere i percorsi verso la sostenibilità), ad esempio, la filiera vitivinicola potrebbe dover destinare, su base annua, risorse pari a circa lo 0,7% del proprio fatturato da qui al 2050. Per un controvalore di oltre 100 milioni di euro l’anno e un investimento complessivo di circa 2,7 miliardi di euro.