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Klimt e l’Italia, al Mart una mostra tra Bisanzio e Freud

A Rovereto due capolavori e una storia di influenze ed eredità

Rovereto, 17 mar. (askanews) – Due grandi capolavori di Klimt e intorno a essi il racconto della forte relazione dell’artista austriaco con l’Italia e della sua influenza sugli artisti italiani. Il Mart di Rovereto ha inaugurato la mostra “Klimt e l’arte italiana”, che ha portato in Trentino la “Giuditta II” e “Le tre età della donna”, ed è curata da Beatrice Avanzi partendo da un’idea del presidente del museo, Vittorio Sgarbi.

“Qui – ha detto Sgarbi – si vedono due capolavori, che sono i capolavori italiani di Klimt, che appartengono a musei italiani e hanno scatenato una reazione di artisti italiani, in particolare due, che hanno assunto Klimt come una parte del loro DNA si direbbe oggi”.

Il riferimento è, in particolare, a Galileo Chini, artista eclettico e decoratore, ma soprattutto al veneziano Vittorio Zecchin, che ha lavorato anche con il vetro. “Zecchin più di tutto – ha aggiunto il sottosegretario alla Cultura – elabora nella luce del vetro quell’essenza che aveva derivato da Klimt e quindi con questa serie di vetri noi dimostriamo che Klimt è un grande artista italiano, veneziano, ravennate, oltre a essere un grande artista viennese”.

In mostra sono presenti anche opere di artisti italiani importanti come lo scultore Adolfo Wildt e soprattutto il pittore Felice Casorati, ma anche di Luigi Bonazza o di Guido Marussig. “Un’esposizione veramente importante – ha sottolineato l’assessore alla Cultura della Provincia autonoma di Trento, Mirko Bisesti – anche sotto il profilo del legame culturale e artistico della scuola viennese con quello che è il nostro territorio trentino, con i nostri artisti e i pittori dell’epoca”.

Centrale nella pittura di Klimt è anche il riferimento alla tradizione bizantina, calata però nella società europea di fine Ottocento e inizio Novecento. Ossia nel tempo di Freud. “C’è un impulso di vita, e c’è un crescere dell’aspetto della psiche rispetto all’anima – ha concluso Vittorio Sgarbi – che traduce il mondo cristiano della tradizione bizantina in una modalità drammatica e traumatica. Potremmo dire che in Klimt c’è anche un antefatto di Kafka e di Musil: durerà fino al 1918 la sua influenza, con la secessione viennese in cui lui elabora con il Fregio di Beethoven una delle opere più importanti, una specie di Cappella Sistema della modernità”.

Quella stessa modernità che tutti viviamo e che forse nessuno riesce davvero ad afferrare fino in fondo.

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