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In Sudan evacuati i diplomatici, ma restano migliaia di stranieri

105 italiani a Gibuti. Convoglio francese sotto il fuoco: un ferito

Roma, 24 apr. (askanews) – Numerosi Stati stranieri hanno evacuato ieri il personale diplomatico dal Sudan nonostante i continui combattimenti tra l’esercito sudanese e le forze paramilitari nella capitale Khartoum, che continuano a tenere in trappola milioni di civili. Ma decine di migliaia di stranieri restano al momento nel Paese. Nella notte anche l’Italia ha concluso la prima fase dell’evacuazione di propri cittadini dal Sudan, con la messa in sicurezza di oltre 100 connazionali, tra cui i membri del personale diplomatico.

Una persona è rimasta ferita quando un convoglio diplomatico francese è finito sotto il fuoco nella capitale, hanno detto i militari del Sudan, e anche un diplomatico egiziano è stato colpito e ferito, secondo il ministero degli Esteri egiziano. Intanto, centinaia di membri dello staff delle Nazioni Unite hanno iniziato un esodo di 19 ore su strada. I governi britannico, canadese e olandese hanno evacuato le loro ambasciate, hanno detto funzionari su Twitter, mentre il ministero della Difesa tedesco ha confermato di aver avviato una missione per far uscire i cittadini tedeschi. “Il nostro obiettivo, in questa pericolosa situazione in Sudan, è far uscire il maggior numero possibile di cittadini tedeschi da Khartoum”, ha affermato il ministero su Twitter. Più tardi, il comando tedesco delle operazioni congiunte ha dichiarato che il primo aereo di 101 sfollati era arrivato in Giordania.

Funzionari diplomatici e militari francesi hanno detto che la loro evacuazione è “molto complicata” e potrebbe ancora incontrare “difficoltà”, aggiungendo che un aereo ha già lasciato il Sudan. L’esercito americano ha evacuato con successo i diplomatici americani e le loro famiglie durante la notte, ha detto sabato il presidente Biden. Elementi del SEAL Team 6 e del 3° gruppo delle forze speciali dell’esercito hanno preso parte all’evacuazione, ha precisato un funzionario della sicurezza. Gli americani sono stati trasportati in aereo su tre elicotteri MH-47 Chinook che sono volati prima da Gibuti e poi hanno fatto rifornimento in Etiopia, secondo un alto funzionario del Pentagono che ha informato i giornalisti sabato sera. Altri 16.000 cittadini americani che non lavorano per il governo, molti dei quali con doppia nazionalità, rimangono invece in Sudan. Sebbene i funzionari statunitensi abbiano affermato di non poterli evacuare perché il pericolo è troppo grande, stanno fornendo indicazioni sulle vie di fuga e altre informazioni logistiche. “Sono preoccupato per la sicurezza e la protezione dei cittadini statunitensi che hanno prestato servizio in missioni umanitarie o in altri modi in tutto il paese”, ha dichiarato ieri il senatore Christopher A. Coons, citato dal Washington Post. “Ci sono parecchi cittadini con doppia cittadinanza USA-sudanese nel paese, e le Nazioni Unite, gli Stati Uniti e un certo numero di altri paesi faranno del loro meglio per aiutare a tornare al governo civile e porre fine ai combattimenti, e per sostenere una stabilizzazione in Sudan”.

Secondo Christopher Maier, l’assistente segretario alla Difesa per le operazioni speciali e la guerra a bassa intensità, i dipartimenti di Stato e Difesa stanno lavorando per aiutare i cittadini americani che potrebbero voler lasciare il Sudan. “Uno di questi modi è rendere potenzialmente più praticabili le rotte via terra fuori dal Sudan”, ha affermato . “Quindi, il Dipartimento della Difesa sta attualmente valutando azioni che potrebbero includere l’uso di capacità di intelligence, sorveglianza e ricognizione per essere in grado di osservare le rotte e rilevare le minacce”. Grazie a un’operazione coordinata dall’Unità di Crisi del Ministero degli Esteri, con assetti della Difesa e il supporto dell’intelligence, anche l’Italia ha messo in sicurezza oltre 100 connazionali, fra cui il personale diplomatico. Con il volo di un C130 dell’Aeronautica militare e un secondo volo di un AM400 spagnolo sono stati trasferiti a Gibuti 105 cittadini italiani e 31 stranieri, fra cui cittadini portoghesi, australiani, greci, britannici, svedesi.

La lotta per l’evacuazione dei cittadini stranieri e del personale diplomatico ha fatto seguito al collasso del Sudan nel conflitto civile, dopo che le tensioni politiche tra generali rivali sono sfociate in violenze il 15 aprile. Protagoniste dello scontro, le RSF, un gruppo paramilitare le cui origini risalgono alle milizie Janjaweed che terrorizzavano il Darfur, e il generale Abdel Fattah al-Burhan, il comandante delle forze armate del Sudan e di fatto il capo di stato del paese.

Finora i combattimenti hanno provocato la morte di almeno 450 persone, secondo le Nazioni Unite, e il ministero della Sanità sudanese ha affermato che almeno altre 3.500 sono rimaste ferite. Il numero delle vittime è certamente sottostimato, poiché le ambulanze sono state spesso attaccate e gli operatori sanitari non sono stati in grado di raccogliere i corpi dalle strade.

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