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Fibromialgia, +15% nel ‘post-Covid’. Colpiti 2 milioni in Italia

L’appello: “Inserirla subito nei LEA per le malattie croniche”

Roma, 9 mar. (askanews) – È un dolore ‘dimenticato’ e poco conosciuto, ma dopo la pandemia i casi di fibromialgia sono in continua crescita. In Italia si stimano circa 2 milioni di casi. La fibromialgia è una sindrome caratterizzata da stanchezza e soprattutto dolore diffuso a muscoli e articolazioni, è una frequente conseguenza del Covid-19 e secondo un recente studio israeliano la sviluppa il 15% di chi è stato ricoverato per l’infezione, una percentuale che sale al 26% nel sesso femminile dove la sindrome è molto più comune, colpendo in generale le donne in 9 casi su 10. Dopo Covid-19 il rischio di fibromialgia è cinque volte più alto rispetto al normale e anche per questo è importante aumentare l’attenzione per una malattia ‘invisibile’, che spesso richiede anni prima di arrivare alla diagnosi ma che compromette molto la qualità di vita. Tuttora la fibromialgia non è inclusa negli elenchi ministeriali delle patologie croniche e quindi non è nei Livelli Essenziali di Assistenza. Gli esperti chiedono perciò di puntare i riflettori su questa sindrome, in modo che venga facilitata una diagnosi tempestiva e quindi garantita una presa in carico assistenziale adeguata, in centri con esperienza. Se ne è parlato in occasione del XII Corso di Alta Formazione sul dolore acuto e cronico, dalla ricerca alla clinica organizzato dall’Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione Pascale di Napoli, dal 9 all’11 marzo.

“La fibromialgia è una sindrome ‘misteriosa’ di cui per lungo tempo è stata messa in dubbio perfino l’esistenza. Oggi è riconosciuta come patologia reumatica extra-articolare ma resta un problema spesso diagnosticato con grande ritardo e qui al Pascale siamo fortemente impegnati a scongiurare che accada, evitando che i pazienti per mesi o anni si sottopongano a visite da diversi specialisti prima di dare un nome al proprio disturbo – spiega Arturo Cuomo, direttore della Struttura Complessa di Anestesia, Rianimazione e Terapia Antalgica dell’Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione Pascale di Napoli e Presidente del Convegno -. Il sintomo cardine è il dolore cronico, riferito come una sorta di tensione muscolare localizzata in alcune zone, come collo, spalle, schiena e gambe, oppure diffuso; il dolore può diventare disabilitante e spesso si associa a stanchezza, disturbi del sonno e altri sintomi fra cui ansia e depressione, che a lungo hanno portato a considerare la fibromialgia come una somatizzazione di disagi psichici che invece ne sono una conseguenza. Le cause non sono note, ma oggi esistono criteri diagnostici condivisi: è molto importante escludere altre malattie che possano essere causa del dolore ed egli altri sintomi, valutando la storia del paziente e soprattutto la durata del dolore e i trigger points, i punti dolenti che nel paziente con fibromialgia sono almeno 11 su 18 punti chiave totali”.

L’attenzione alla sindrome e alla sua diagnosi è ancora più importante oggi, alla luce dei dati raccolti da ricercatori dello Sheba Medical Center in Israele e pubblicati di recente su PLOS One: analizzando circa 200 pazienti ricoverati per Covid-19 nel 2020, è emerso che l’87% ha avuto almeno un sintomo correlato alla fibromialgia dopo essere guarito dall’infezione, il 15% ha sviluppato la sindrome nei cinque mesi successivi. Fra le donne l’incidenza è stata del 26%, sei volte maggiore rispetto alla popolazione generale; i sintomi più comuni, presenti ciascuno in oltre un caso su due, sono stanchezza, disturbi del sonno e dolori muscolari e articolari.

“Questi dati valgono anche per il nostro Paese, confermati dalla ‘real life’, e dimostrano l’importanza di mantenere alta l’attenzione sulla fibromialgia, soprattutto in chi è stato ricoverato per Covid-19, ma non solo – osserva Marco Cascella, responsabile dell’HUB del dolore del Pascale e Responsabile Scientifico del Convegno -. Sappiamo per esempio che la fibromialgia giovanile colpisce il 2-6% di bambini e adolescenti, soprattutto femmine, e in questi casi è ancora più essenziale intervenire per garantire una buona qualità di vita e per scongiurare conseguenze sul benessere psicologico: ricerche recenti hanno dimostrato alterazioni nelle aree cerebrali deputate all’elaborazione del dolore e nella corteccia frontale, in zone connesse alla regolazione ed elaborazione delle emozioni. È perciò importante prendere in carico questi pazienti in maniera da evitare che possano sviluppare malesseri psichici ed emotivi a causa del vissuto negativo indotto dalla sindrome”.

“Nel Centro di Terapia del dolore del Pascale, così come in tutti gli analoghi Centri italiani di alta specialità, si pone particolare attenzione alla presa in carico globale dei pazienti affetti da dolore cronico, anche di tipo fibromialgico, intervenendo non solo sulla componente fisica ma anche sull’aspetto psicologico, grazie ad un team multidisciplinare – riprende Cuomo -. Oggi sappiamo, per esempio, che la depressione può essere una conseguenza della fibromialgia. Ma a lungo i pazienti sono stati ritenuti ‘malati immaginari’, che somatizzavano disagi psicologici. Non è così e lo dimostra anche l’efficacia di alcuni antidepressivi in pazienti selezionati, con fibromialgia e depressione. La terapia può includere anche miorilassanti e antidolorifici, ma i trattamenti sono per lo più non farmacologici e soprattutto personalizzati, con interventi sullo stile di vita, educativi e psicoterapeutici. Purtroppo la fibromialgia non è inclusa nell’elenco delle patologie croniche e quindi nei LEA: i pazienti non hanno diritto a esenzioni per visite, esami e terapie e questo complica non poco la gestione della sindrome, per la quale sarebbe importante creare percorsi adeguati così da ridurre i tempi per la diagnosi e garantire una presa in carico assistenziale adeguata in centri con esperienza nel campo”, conclude Cuomo.

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