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Felicetti, la pasta che ha vinto la sfida (e un posto) nell’alta cucina

Nel pastificio a Molino di Fiemme l’incontro con gli Ambasciatori del gusto

Molina di Femme, 8 mar. (askanews) – C’è stato un tempo, non molti anni fa, in cui la pasta secca non aveva posto nei menù dell’alta ristorazione italiana. Un po’ perché associata all’idea di una cucina semplice, casalinga, buona tutt’al più per le trattorie, un po’ perché “rischiosa” secondo l’esperienza degli stessi chef. Fatto sta che, salvo rare eccezioni, era quasi scomparsa. Ma da qualche anno a questa parte è tornata orgogliosamente a proporsi anche su queste tavole. E questo grazie al sodalizio coraggioso tra qualche cuoco e alcune aziende che hanno scommesso, studiato e insistito perché questo prodotto simbolo della nostra cultura alimentare tornasse a rappresentarci anche nelle cucine più blasonate.

Tra queste aziende pioniere c’è sicuramente il pastificio Felicetti, l’azienda trentina che con i suoi due stabilimenti, lo storico a Predazzo e il nuovo a Molina di Fiemme, produce ogni anno 30 milioni di chili di pasta, di cui il 55% finisce all’estero, per un fatturato complessivo al 2022 di 54 milioni di euro. L’ultimo impegno, in ordine di tempo, a favore della diffusione della pasta secca nell’alta ristorazione è stato quello con gli chef dell’associazione Ambasciatori del gusto che in occasione di Futura 2023, l’evento organizzato a Cavalese, hanno potuto visitare il nuovo pastificio e partecipare alla masterclass “”La pasta come ingrediente” curata da Alessandro Gilmozzi, chef ambassador di Pastificio Felicetti e presidente dell’associazione. Al centro di questo appuntamento proprio le nuove prospettive di utilizzo della pasta nelle cucine dell’alta ristorazione, un tema chiave per valorizzare al meglio il prodotto in sé e il territorio in cui nasce, come nel caso dei pastifici Felicetti immersi nella Val di Fiemme.

Ma come è stata possibile questa progressiva riscoperta della pasta secca nell’alta ristorazione? Di sicuro dietro ci sono l’innovazione e la ricerca su un prodotto estremamente semplice, fatto di due soli ingredienti, semola di grano duro e acqua. Qui in particolare, in questi due pastifici incorniciati dalle Dolomiti, ricerca e innovazione hanno assunto forme e sapori fino a quel momento inesplorati che consentono agli chef di sperimentare cotture e proposte innovative. Basti pensare che pastificio Felicetti gestisce oltre 40 tipi di materie prime differenti, sia per la varietà dei grani utilizzati (tutti di origine italiana a eccezione del Kamut da grano Khorasan che proviene dal nord America) sia per tipologie di macinazione differenti. La scelta stessa di produrre paste “monograno”, ottenute da semole biologiche monorigine coltivate su terreni ben precisi, nasce proprio dalla volontà di diversificare le tipologie di prodotto finale sia per utilizzo che per gusto. Ne risultano circa un centinaio di formati di pasta per 250 referenze.

L’innovazione e la ricerca però non hanno sacrificato l’artigianalità, anzi. Grazie a un impianto ad “alta intensità tecnologica” come quello di Molina di Fiemme, inaugurato meno di un anno fa, si sono capovolti gli schemi “adattando le macchine alle materie prime che utilizziamo” e lasciando il pastaio al centro del processo produttivo. “Abbiamo la più alta tecnologia disponibile per la pasta ma il pastaio resta fondamentale perché per noi l’artigianalità è sapere e conoscenza”, hanno spiegato durante la visita. E in effetti la manodopera è ridotta al minimo, ci lavorano solo 30 persone in questo pastificio (in tutto con quello di Predazzo i dipendenti sono 117) ma la maggior parte sono operatori specializzati che seguono e gestiscono il processo produttivo di 70mila chili di pasta al giorno, che raddoppiano di fatto la produzione dell’impianto di Predazzo.

L’idea di innovare un prodotto ad alto tasso di tradizionalità come la pasta sembrava di difficile immaginazione fino a non molti anni fa, ma osservando le linee di produzione di questo stabilimento, la maniacale cura con cui viene prodotta la pasta delle Dolomiti, ascoltando la meticolosità del processo di selezione delle materie prime, non solo si possono intravedere le potenzialità di questo prodotto ma si capisce come sia riuscito a prendersi la rivincita nell’alta ristorazione.

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