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Covid, Salemi (UniFlorida): origine irrilevante. Capire cosa non funzionò

13,5 mln morti in un’era in cui in 11 mesi arriva un vaccino efficace

Roma, 20 mar. (askanews) – Da dove ha avuto origine il Covid? Un errore di laboratorio, gli animali vivi macellati nei mercati in Cina o, l’ultima ipotesi, i procioni infetti nel mercato di Wuhan? A quasi quattro anni dallo scoppio della pandemia si discute ancora con continue nuove e, spesso fantasiose, ipotesi sull’origine del virus che ha messo in ginocchio il pianeta. Ma si tratta di una discussione “assolutamente irrilevante” secondo Marco Salemi, Ordinario di Patologia Sperimentale e Direttore Associato dell’Istituto dei Patogeni Emergenti, Università della Florida.

“Ciò di cui dovremmo discutere senza sosta fino a trovare una risposta – osserva – è come sia possibile che COVID-19 in tre anni abbia fatto tredici milioni e mezzo di morti, in un epoca in cui un nuovo agente infettivo può essere isolato e sequenziato in un mese, un vaccino con il 92% di efficacia nel proteggere dalla malattia può essere sviluppato in 11 mesi e in cui la tecnologia permette la trasmissione globale di informazioni in tempo reale. Invece eccoci qua, tutti a guardare il trucco dall’altra parte: ma saranno stati davvero i cani procione? Non vedo l’ora di seguire i dibattiti sui talk show”.

“Ovviamente, come tutte le teorie scientifiche, non esiste né mai esisterà alcuna prova definitiva – sottolinea il virologo – ognuno continuerà a credere quello che vuole e, per quanto improbabile, è impossibile escludere che il paziente zero sia stato, in effetti, un tecnico esposto casualmente ad un animale infetto nel laboratorio del CDC di Wuhan”, ma “quello che dovremmo esaminare è per quale motivo Wuhan viene messa in quarantena quattro settimane dopo che è stato suonato il campanello d’allarme, settimane durante le quali le autorità cinesi insistono che il virus infetta solo chi è stato a stretto contatto con animali. Altrettanto importante sarebbe discutere con estrema franchezza i motivi per i quali durante il mese di febbraio, quando decine di migliaia di casi vengono riportati in un centinaio di paesi in giro per il mondo, poco o nulla viene fatto per coordinare una risposta o una strategia a livello internazionale e bisognerà aspettare addirittura fino all’11 di marzo prima che l’OMS ci comunichi, in tutta serietà, che è scoppiata una pandemia”. “I coronavirus – spiega l’esperto – sono noti e studiati da decenni. La loro abilità di trasmettersi dagli animali all’uomo, nei cosiddetti eventi di zoonosi, è ben nota e documentata. In genere relativamente benigni, alcuni coronavirus in passato sono risultati estremamente virulenti negli esseri umani: la SARS nel 2003-2004 e il MERS nel 2013-2014. Nonostante i virus che hanno precedentemente infettato la nostra specie abbiano una maggiore mortalità, SARS-CoV-2 è di gran lunga il più infettivo, uno dei motivi della sua rapida diffusione su scala globale. Tutte cose che tutti sanno”. Ma ci sono cose che ancora non sappiamo: “Quanti coronavirus esistono in natura? Quante specie animali sono infettate? Con quanta frequenza avvengono gli eventi zoonotici? In quali condizioni un evento zoonotico risulta in un virus capace di trasmettersi tra esseri umani e diventare virulento? Come creare sistemi di sorveglianza di animali selvatici e all’interfaccia tra vita selvatica e società umane per limitare o prevenire trasmissioni zoonotiche?” e soprattutto: “Cosa ha tragicamente non funzionato nella farraginosa burocrazia dell’OMS, nella disunita e caotica risposta della comunità internazionale e perfino di specifici governi, come la Cina che per settimane ha ignorato il problema, che hanno strutturalmente impedito di formulare la strategia necessaria per contenere l’epidemia quando ancora era contenibile, vale a dire durante le prime 3-4 settimane?”.

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