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Lavoro, Cgil: oltre 183mila addetti travolti dagli effetti di crisi aziendali  

Analisi: Area Politiche industriali della Confederazione sulle crisi aperte

“Sono oltre 183mila i lavoratori del settore industriale e delle reti che sono devastati dagli effetti della crisi nelle loro imprese e/o settori. Questo dato ci mette in condizione di smentire le affermazioni di chi confonde la propaganda con la realtà, conoscendo i fatti, e rafforza le ragioni della nostra protesta”.

Così il segretario confederale Cgil Pino Gesmundo, ha presentato il Report di Analisi dell’Area delle Politiche industriali della Confederazione su crisi aperte.

Secondo l’analisi di Corso d’Italia, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy conta attualmente 58.026 addetti colpiti dalla crisi industriale per i quali sono ad oggi aperti tavoli di confronto. “Mostriamo numeri precisi perché si tratta di persone, non di solo statistiche, e a questi si aggiungono le decine di migliaia di lavoratori di aziende in crisi che hanno tavoli aperti a livello regionale”.

“Non esiste, per altro, una mappatura nazionale da parte delle Istituzioni ma che noi conosciamo e rappresentiamo (18.609 nel Veneto e 18.241 in Puglia, solo per fare due esempi), o ancora, i 5.141 lavoratori di aziende che, malgrado ne abbiano fatto richiesta, non hanno un tavolo al Ministero”.

Citando alcuni documenti recentemente diffusi nel contenzioso, il sindacato prosegue dicendo che si “parla della totale incapacità delle persone di guidare la politica industriale in aree strategiche e rilevanti del Paese”.

La Cgil ricorda: “La Perla, produttore di corsetteria di alta qualità, è diventato vittima della speculazione finanziaria. Fos Prysmian, azienda produttrice di fibra di vetro di elevata qualità, è in crisi a causa dell’utilizzo in Italia di fibre provenienti da Cina e India. Marelli è in crisi di fronte alle trasformazioni nel settore automobilistico”.

“Riguardo all’Ex Ilva, Gesmundo specifica all’indomani dell’ultimo incontro tra Governo e sindacati a Palazzo Chigi: “È necessaria una risposta immediata perché l’Italia non può rimanere senza acciaio, con decine di migliaia di lavoratori in più, compresi quelli dell’indotto, in una situazione di precarietà”.

“Uno scenario sconfortante se si considera che la grande svolta green e digitale rischia di trasformarsi da potenziale motore dell’economia in un’ulteriore occasione di impoverimento per il nostro sistema produttivo e industriale” – commenta il segretario confederale della Cgil.

Ad essere a rischio di crisi a causa dei cambiamenti in atto sono, infatti altri 120.026 lavoratori: 70.000 nell’industria automobilistica, 25.459 nell’industria siderurgica, 8.000 nel settore della produzione di energia (centrali elettriche a carbone e ciclo combinato), 2.000 nel settore dell’elettricità (mercato tutelato), 4.094 nel settore della chimica di base, 3.473 nel settore petrolchimico e della raffinazione e 8.500 nel settore delle telecomunicazioni.

Inoltre, la Cgil rileva che “20 aree di crisi industriale complessa rimangono al momento senza soluzioni concrete”. Ad oggi, esse sono localizzate in 13 regioni italiane, che sono state colpite dalle principali crisi economiche del Paese e dalla perdita di posti di lavoro di rilevanza nazionale, e che hanno un impatto significativo sulla politica industriale nazionale.

“Gli interventi previsti ad altri livelli non sono purtroppo sufficienti. È il caso dell’accordo di programma per la ricostruzione e la riqualificazione delle aree di crisi industriale complessa di Melfi, Potenza e Rionero Vulture, approvato dal MIMIT mercoledì scorso” – sottolinea Gesmundo.

“Il ridimensionamento dello stabilimento di Stellantis e la riorganizzazione del processo produttivo stanno pesando molto e di conseguenza l’intera catena di fornitura ne risente. È per questo motivo che continuiamo a insistere sul fatto che la questione del lavoro deve essere al centro di qualsiasi sviluppo in questo Paese. Il capitale di cui abbiamo bisogno per continuare a crescere sono le persone” – sostiene il segretario confederale della Cgil.

“Per questo – conclude Gesmundo – le nostre proteste continuano, a partire dall’impegno a contrastare leggi di stabilità sbagliate che allargano il divario nella distribuzione della ricchezza, impoveriscono i lavoratori e aumentano la precarietà. Si tratta di un’iniziativa volta a migliorare le condizioni sociali al fine di aumentare sostanzialmente la partecipazione delle donne e dei giovani al mercato del lavoro”.

Ciro Di Pietro

Immagine di Freepik

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