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Uomo, sessantenne e senza dottorato: l’identikit del Ceo italiano

(Adnkronos) –
Gli amministratori delegati italiani sono i più anziani in Europa. Infatti, oltre la metà ha 60 anni, è uomo e rimane in carica per sei anni. Anche sotto il profilo della diversità di genere le cose, nel nostro Paese, non vanno meglio. Unico Ceo donna tra le 40 società quotate al Ftse risulta Giuseppina Di Foggia, alla guida di Terna dal 2023. Per quanto concerne la formazione degli amministratori delegati nostrani, solo il 38% è in possesso di un dottorato. Molti di essi hanno, inoltre, esperienze pregresse in ruoli apicali, in particolare nel settore esecutivo (53%), in quello finanziario (13%) e operativo (28%). Solo il 13% arriva a ricoprire tale incarico verso i 45 anni; il restante lo assume superati i 55. 

Questa è la fotografia scattata dal report annuale ‘Route To The Top’, l’indagine condotta da Heidrick & Struggles – società di headhunting, leader a livello globale nella ricerca di executive – sulla figura dell’amministratore delegato odierno in Europa, America, Asia e Africa. 

Rispetto al 2024, si assiste a un incremento dell’età media di questi top manager di circa 10 anni, collocando l’Italia all’ultimo posto in Europa. Numeri più alti, tuttavia, si riscontrano tra i Ceo americani, dove il dato anagrafico supera addirittura i 60 anni. Ad affidare questi incarichi ai più giovani sono Francia e Danimarca, dove molti amministratori delegati ancora non hanno compiuto mezzo secolo, e Irlanda, che nel 31% dei casi assegna il ruolo a chi ha meno di 45 anni. 

Continua a restare marginale il ruolo delle donne nel processo decisionale delle aziende quotate, nonostante la legge Golfo-Mosca. In Europa fanno meglio di noi, ma pur sempre in linea con i risultati dello scorso anno: Francia, Finlandia e Danimarca, dove la percentuale di donne amministratrici delegate oscilla tra l’8 e il 13% rispetto al nostro 3%. Mentre a livello mondiale, sebbene la media non superi l’8%, i Paesi che registrano il numero maggiore di amministratrici sono: Australia, Nuova Zelanda e Singapore, ma anche in questo caso la percentuale non scavalla il 20%.  

Niccolò Calabresi, managing partner Southern Europe di Heidrick & Struggles, commenta: “Ci troviamo di fronte a due ordini di problemi: il primo riguarda il tempo di permanenza nel ruolo, che ostacola il ricambio generazionale non lasciando spazio all’ingresso di nuove figure di talento. Il secondo, invece, è la presenza di donne in posizioni apicali completamente in stallo. La pipeline verso la leadership al femminile è bloccata anche per colpa delle poche candidature”. “E’ come se le donne temessero di non essere all’altezza di ricoprire certi incarichi e, di conseguenza, si candidano solo quando soddisfano il 100% dei requisiti richiesti rispetto agli uomini che si propongono pure se sono qualificati al 60%. Queste condizioni limitano parecchio la ricerca di nuove strategie innovative e contaminazioni, due fattori che hanno sempre reso le aziende più performanti sotto molteplici punti di vista”, conclude.  

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