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Minori, la Cassazione: “Nel processo si giudicano i fatti, la psicologia non fa sentenza”

ROMA – Una sonora bocciatura per la “censura dell’omesso ascolto” dei minori e per aver valutato la “non idoneità genitoriale ricostruendo il profilo psicologico dalla consulenza tecnica d’ufficio”. E ancora: “Non è possibile far discendere dalla diagnosi di una patologia, anche se scientificamente indiscussa e a maggior ragione se dubbia, una presunzione di colpevolezza o inadeguatezza della funzione genitoriale”. In un passaggio di poche intense righe, effettivamente poco pubblicizzate dalla stampa, la Cassazione con l’ordinanza 4595 ha bocciato un procedimento civile in cui l’affido di due fratelli minori e la regolamentazione del diritto di visita da parte del padre, come spesso accade, era stato determinato da una consulenza tecnica d’ufficio che aveva bollato la madre come ‘ostativa-alienante’. Con questa epocale odinanza la Cassazione, partendo dal caso specifico, esprime in realtà, nero su bianco, un principio che risulta molto spesso disatteso nelle cause civili su idoneità genitoriale e affido dei minori: ovvero che le sentenze non si scrivono in nome delle perizie psicologiche. I giudici giudicano i fatti.

“Nel processo- scrive la Cassazione a gennaio 2025- si giudicano i fatti e i comportamenti…La diagnosi può aiutare a comprendere, ma non può da sola giustificare un giudizio di non idoneità parentale a carico di un genitore”, senza ascoltare i bambini sui racconti delle violenze subite ignorati anche dalla ctu. Così tutto da rifare, si torna in Corte d’Appello a Bologna. La storia è un po’ un copione: un padre con affido condiviso dei figli che reclama di non vedere rispettati i propri diritti di visita, stabiliti in separazione. Presenta ricorso al provvedimento del Tribunale di Modena. L’ex moglie, la madre dei piccoli, ne chiede l’affido esclusivo e chiede l’interruzione degli incontri con il padre. I bambini riferiscono di violenze e hanno paura, ma i giudici non li ascoltano. Il Tribunale li affida ai servizi sociali e rigetta il ricorso della madre per una ctu che dipinge la madre come figura ostativa che ha messo in atto un “processo di denigrazione della figura paterna” e arrivano, come di rito, relazioni dei servizi sociali “colpevolizzanti”.La Cassazione ha evidenziato il mancato ascolto dei minori, il più grande dei quali aveva 12 anni durante il primo grado e 15 in appello e il più piccolo 8, quindi non ha approfondito le ragioni del loro rifiuto: “L’ascolto diretto del giudice e l’ascolto mediante consulenza non sono equivalenti” e nel caso del 12enne si sarebbe dovuto motivare il mancato ascolto.

Sonora condanna dell’operato della ctu che parla di madre simbiotica: “Questo non basta a definire inidonea una madre” e soprattutto: “il giudice è tenuto ad accertare la veridicità di comportamenti pregiudizievoli per il minore utilizzando comuni mezzi di prova”. Quindi i racconti della violenza. L’affido ai servizi sociali senza aver espletato tutto questo, sostiene la Cassazione, è già irrituale. “Sottovalutare o non considerare allegati di violenza domestica o assistita è un errore grave e hanno rilevanza contrariamente a quanto aveva scritto l’appello. ritenendola erroneamente solo penale”. Altra omissione non aver vigilato sui servizi sociali. L’ordinanza epocale è stata ricordata ieri in sala stampa alla Camera, in una conferenza promossa dalla deputata Stefania Ascari sul caso di mamma Luisa alla quale è stato tolto il figlio di 5 anni per una ctu dell’alienazione parentale. A parlarne l’avvocato Antonio Voltaggio, impegnato da sempre su questi casi, che leggendone alcuni passaggi ha ricordato il fenomeno per cui la psicologia viene oggi usata nei Tribunali per fare sentenza.
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